In una lunga intervista apparsa oggi su Il Sole 24ore, Jamie Damon, n. 1 di JP. Morgan, dice la sua sulla situazione economica e sulle politiche monetarie delle Banche Centrali. Vista l’autorevolezza del personaggio, è probabile che le sue parole non passeranno inosservate. La differenza rispetto ai leader delle varie autorità monetarie, dando per acquisite le rispettive competenze e preparazione, può essere sintetizzata nella sua “istituzionalità”: per quando universalmente riconosciuto come tra le persone più preparate, rimane pur sempre un “manager” (oltre che azionista) di una società di Asset management e banca d’affari, seppur tra le più note e affermate al mondo. Una voce, quindi, probabilmente un po’ più “libera” e meno “vincolata” alla politica.
Diverse le considerazioni “degne di nota”.
Innanzitutto, pur avendo a disposizione stuoli di analisti e macro-economisti, Damon ci dice che qualsiasi previsioni su un atterraggio “duro o morbido” dell’economia (e quindi il verificarsi di una recessione più o meno dura) è, di fatto, un terno al lotto. Il mondo, e quindi anche le banche centrali, dovranno farsi trovare pronti ad affrontare la situazione che “scopriremo solo vivendo”.
Con il senno di poi, a suo dire, il lunghissimo periodo di tassi negativi è stato uno degli errori più grandi di sempre commessi dalle Banche Centrali: non avendo mai avuto, negli anni passati, un vero e proprio “QE”, ci troviamo per la prima volta ad affrontare il processo inverso, e quindi politiche di alleggerimento dei bilanci delle Banche centrali. Questa potrebbe essere una complicazione per i mercati, con effetti oggi difficili da definire, venendo meno la “mano pesante” di chi, in questi anni, è intervenuto per tenere basso il costo del denaro.
Un’altra pesante causa dell’inflazione è stata, in questi anni, la politica fiscale dei Governi, una via pressochè obbligata per superare la crisi Covid. Si calcola che solo gli Usa abbiano spese qualcosa come $ 5.000 MD per sostenere l’economia. E l’Europa forse ha speso ancor di più in rapporto al PIL. Dare denaro alla gente, perché questo, in ultima analisi, è l’obiettivo di alcune politiche fiscali, è causa di inflazione, che si aggiunge al costo del denaro “sotto zero”. Senza contare gli ulteriori investimenti (PNRR in Europa, IRA in Usa per citare forse i più noti) e, ancora di più, la spesa militare, che sotto la spinta del conflitto in Ucraina, è in crescita in tutto il mondo.
Tutti motivi che portano Dimon a ipotizzare che i rialzi dei tassi non siano ancora finiti, anche se non si possono quantificare quante volte le Banche Centrali interverranno ancora. A suo dire, però, almeno sulle scadenze brevi (probabilmente riferendosi ai tassi americani), è probabile che possano arrivare al 6-7% (oggi il biennale americano “paga” circa il 5%): ecco perché sarà fondamentale come il settore bancario affronterà “il caro tassi”, gestendo il rischio che ne conseguirà. Non viene evocata la grande crisi del 2008: la si parlava di una crisi sistemica, con oltre $ 1.000 MD di mutui problematici, che, ovviamente, hanno messo in crisi il sistema. Oggi si parla di crisi “locali” (vedi le 3 banche regionali Usa, di cui una, la First Republic Bank, salvata proprio da JP. Morgan) piuttosto che, per quanto riguarda il settore immobiliare, un potenziale rischio per la parte relativa a quelli commerciali, in primis gli uffici, il cui utilizzo è profondamente cambiato con l’avvento del lavoro remoto.
Ne viene fuori un quadro che, per quanto difficile, sembra però “gestibile” dagli organismi monetari. Rimane sullo sfondo il conflitto ucraino, per il quale nessuno è in grado di prevedere gli scenari futuri. E questa, a ben vedere, potrebbe essere l’incertezza maggiore.
Oggi verranno comunicati i dati, piuttosto attesi, sull’inflazione Usa.
Le attese sono per un ulteriore calo: le attese sono per prezzi che si dovrebbero attestarsi intorno al + 3,1% dal + 4% di maggio. Da qui in avanti, ogni discesa sarà sempre più complicata. Gli stipendi, per quanto cresciuti ad un livello che non copre l’inflazione, continueranno a muoversi verso l’alto; l’energia, da 10 mesi a questa parte, continua a costare meno; i prezzi alla produzione sono scesi in maniera rilevante. A tal proposito un fattore determinante sarà la greedflation, acronimo che sta ad indicare la velocità (o il ritardo) con cui le aziende riescono ad adeguare i prezzi di beni e servizi al “consumo” ai prezzi alla “produzione”.
La giornata di ieri si è chiuso con le chiusure positive in serata di Wall Street, con il Nasdaq cresciuto dello 0,49% e il Dow Jones dello 0,93%.
Questa mattina, nell’area del Pacifico, solo Hong Kong tiene il passo “americano”, con l’Hang Seng che sale dello 0,91%.
Negativi il Nikkei a Tokyo (- 0,81%) e Shanghai (- 0,78%).
Futures Usa ben impostati; borse europee positive in apertura.
Petrolio sempre sostenuto, con il WTI a $ 74,90.
Gas naturale Usa a $ 2,723.
Oro a $ 1.940.
Spread ancora in allargamento, a 175 bp, per un BTP a 4,42%.
Bund a 2,64%.
Treasury appena sotto il 4% (3,96%).
Sempre sopra 1,10 l’€/$ (1.1025).
Bitcoin a $ 30.720.
Ps: Jannick Sinner ha conquistato la semifinale di Wimbledon. E’ il più giovane tennista, dal 2007, a raggiungere il traguardo. Un record che, molto probabilmente, però durerà pochissimo: oggi gioca Alcaraz, n. 1 al mondo, che di anni ne ha 20….